SPORT E VITAMINA D

LE MERAVIGLIE NASCOSTE DELLA VITAMINA D (La vitamina preferita dai super uomini)


Questa rara e preziosa vitamina la si ottiene prevalentemente (tra il 50% e il 90%) solo esponendo la pelle ai raggi ultravioletti (UVB) del sole, che provocano la conversione del 7-deidrocolesterolo in colecalciferolo (Vitamina D3) (Lips, 2010). Il resto è ricavato dall’alimentazione sotto forma di ergocalciferolo (Vitamina D2).
Le cose non sono così semplici, però.
Di fatto, queste due forme di vitamina D sono composti inerti. Per sprigionare tutti i benefici a livello di recettori cellulari, i composti devono essere convertiti da fegato e reni nella loro forma primaria per la circolazione sanguigna, il calcidiolo (25-idrossivitamina D).
Una volta entrato in circolazione, grazie al recettore della vitamina D (VDR) il calcidiolo può essere infine convertito in calcitriolo (1,25-diidrossivitamina D), ossia la “forma attiva” della vitamina D, e iniziare così a compiere le sue magie.


MA NON ERA L’ESERCIZIO A FORTIFICARE LE OSSA?

Certo, l’attività fisica, in particolare di forza e d’impatto (per esempio, la corsa), aumenta naturalmente la densità minerale ossea (BMD) attraverso le sollecitazioni esercitate sullo scheletro (Rector et al. 2009); tuttavia, si tratta di un’arma a doppio taglio.
Le perdite di calcio attraverso il sudore durante le estenuanti sessioni in palestra possono essere copiose: solo con la traspirazione, in un’ora di allenamento intenso un uomo medio può perdere tanto calcio quanto ne contiene un bicchiere di latte (circa 100 mg) (Martin et al. 2007).
Secondo i risultati degli studi, se abbinata a bassi livelli di vitamina D, l’insorgenza di un deficit di BMD anche marginale può accrescere il rischio di fratture da stress tra i frequentatori assidui di palestre, gli sportivi accaniti e gli atleti di alto livello di qualsiasi età (Myburgh et al. 1990; Nattiv et al. 2000; Lovell, 2008).


BEH, MA IO NON VIVO MICA IN UNA CAVERNA, DI SICURO NE ASSUMO A SUFFICIENZA… VERO?

Falso. Non occorre essere dei trogloditi per presentare carenze di vitamina D.
In Gran Bretagna, la dose giornaliera di vitamina D adatta agli adulti è stata fissata a 600 UI al giorno, dose che, “presumibilmente”, dovrebbe innalzare i livelli di calcidiolo entro il range di riferimento di 20-30 ng/ml con un’esposizione solare giornaliera “normale”.
Tuttavia, buona parte delle evidenze cliniche in materia dice tutt’altro. Un recente studio di Heaney e colleghi è stato condotto nel 2003 su 67 soggetti con carenza clinica di vitamina D; i soggetti sono stati suddivisi in 4 gruppi 
e per cinque mesi la loro dieta è stata integrata rispettivamente con 200, 1.000, 5.000 e 10.000 UI di vitamina D3.
Con sgradita sorpresa dei ricercatori, il gruppo trattato con la dose più bassa non è riuscito a rientrare nel range di riferimento della vitamina D nemmeno dopo cinque mesi.

La carenza di vitamina D è stata riscontrata anche in atleti residenti sotto il sole cocente del Qatar (Hamilton et al. 2010). All’insaputa degli sportivi mediorientali, in base alla stretta relazione tra la vitamina D e lo stato del calcio osseo gli autori hanno concluso che questo gruppo di atleti considerati altrimenti “sani” presentava una riduzione della densità minerale ossea fino al 60%.
Analogamente, studi di coorte hanno rilevato che sotto il “sole” del Regno Unito la carenza di vitamina D tra gli adulti può raggiungere persino il 47% (Davies & Show, 2011).

Un aspetto che contribuisce a tale carenza è il fatto che la formazione 
di colecalciferolo si arresta dopo soli 30 minuti al sole, mentre la produzione di melanina nelle cellule cutanee aumenta, fornendo al corpo una bella abbronzatura (Holick, 2002). Questo meccanismo di sicurezza intrinseco impedisce un’eccessiva esposizione ai raggi UV, che causerebbe un’intossicazione da vitamina D e danni al DNA della pelle; così facendo, riduce le probabilità di insorgenza di melanoma (cancro della pelle) ed è anche il motivo per cui nessuno è mai morto per ipervitaminosi D dovuta all’esposizione al sole.
Volenti o nolenti, è il modo in cui l’organismo si difende.

Questo adattamento evolutivo poteva avere un senso 1,8 milioni di anni or sono, quando l’uomo primitivo non faceva altro che vagare per le praterie, consumando una dieta ricca di vitamina D ed esponendo l’intero corpo al sole tutti i giorni (Hollis, 2005).
Se guardiamo invece al moderno “cavernicolo” degli uffici, lavoratore serale, vittima di turni massacranti, che trascorre dietro finestre trattate con filtri UV-B, solerte nell’uso di creme solari protettive e poco attento all’assunzione di vitamina D nella dieta, è facile capire come i valori possano precipitare con la velocità di una palla di piombo.


DENSITÀ MUSCOLARE

Non sorprende il continuo aumento di prove che attestano il legame diretto tra vitamina D e ottimizzazione della massa muscolare. All’inizio del XX secolo, si diceva che gli atleti ricorressero alle radiazioni UVB per migliorare le prestazioni rispetto agli avversari (Cannell, 2009).
Più specificamente, negli ultimi anni è stata individuata una relazione tra insufficienza di vitamina D, atrofia delle fibre muscolari scheletriche di tipo II (scomposizione muscolare) e aumento della deposizione di grasso intramuscolare  (Ceglia, 2009). È dimostrato che la somministrazione di vitamina D capovolge gli effetti dell’atrofia muscolare negli anziani e aumenta la forza (quindi gli atleti di un secolo fa ci avevano visto giusto).




UN’ARMA ANABOLICA NATURALE

A livello di VDR (recettore della vitamina D), quando si tratta di attività anabolica il calcitriolo appartiene a una categoria a sé.
Solo negli ultimi anni diversi ricercatori (Peng et al. 2004; Liao et al. 2008) hanno scoperto che il misterioso VDR è un’intera “superfamiglia” di ormoni steroidei, con numerosi e svariati effetti di promozione della crescita a livello genetico (effetti genomici).
Tra questi, molti lettori riconosceranno senz’altro il fattore di crescita insulino-simile-1 (IGF-1), rilasciato naturalmente quando il corpo si adatta all’allenamento con i pesi. Grazie ai suoi potenti effetti sulla ricrescita dei tessuti, sull’ipertrofia 
e sul mantenimento dei tessuti magri, in ambito sportivo questo composto è spesso somministrato come sostanza ergogenica illegale nello sport (Hamilton, 2010). Pare che il calcitriolo aumenti l’espressione di questo fattore a livello di VRD (Peng et al. 2004) e si ritiene che intervenga sostanzialmente nella rapida crescita riscontrata in fase di guarigione dal rachitismo (Soliman et al. 2008).
Purtroppo, gli studi attualmente disponibili sulle popolazioni di atleti sono molto scarsi (Willis et al. 2008). Tuttavia, se gli stratagemmi dei nostri avi per sviluppare i muscoli si rivelano azzeccati, la vitamina D potrebbe diventare la nuova creatina monoidrato del vostro arsenale.


LETTERA DI UN MEDICO SPORTIVO:

Cari lettori, prendo spunto, o meglio, mi riallaccio ad una mia recente rubrica sui micronutrienti (vitamine e minerali), nella parte finale della quale, ho introdotto un argomento che mi affascina particolarmente, per attualità e per il fiorire di numerosi studi a riguardo: la vitamina D e il suo ruolo nell’attività fisica.
Bene , nel corso della suddetta rubrica, sono riuscito, appena, ad introdurre l’argomento, pertanto mi sono riproposto questo spazio per cercare di sviscerarlo con voi, in maniera un po’ più estesa e, spero, organica . 

La vitamina D,  è una delle vitamine, insieme alla A, E e K, cosi dette  liposolubili, in quanto si accumulano nel tessuto adiposo, e come le altre, necessaria al nostro organismo; è detta anche “vitamina del sole”, in quanto si produce, in massima parte, in seguito all’esposizione della cute alla luce solare, infatti,  il tutto ha inizio con l’azione del sole sulla pelle e prosegue in due organi, il fegato e il rene, dove viene definitivamente trasformata nella sua forma attiva , questo per il 90%, il restante 5/10% viene fuori , invece, dall’apporto alimentare della stessa, grazie al consumo di cibi che ne sono particolarmente ricchi, quali il fegato, l’olio di fegato di merluzzo, pesci grassi, tipo salmone e sardine, uova, latte e derivati, in particolare il burro. 

Questa vitamina considerata, oggi, in ragione delle sue molteplici funzioni su organi e tessuti, un ormone a tutti gli effetti, svolge un ruolo regolatore in diversi processi organici, che vanno dal metabolismo osseo-muscolare, al  metabolismo degli zuccheri,  alla protezione cardiovascolare e tumorale, fino alla modulazione e prevenzione dell’infiammazione; in ragione di ciò si è aperto anche un filone di studio e ricerca che si è concentrato sul probabile ruolo svolto dalla stessa sulle strutture organiche durante la prestazione fisica e,  più squisitamente, durante quella sportiva. 

Riguardo la prestazione fisica sembra convincente un ruolo di primo piano di questa molecola a sostegno delle strutture muscolari ed ossee, infatti, i soggetti francamente carenziali, che svolgono una regolare attività fisica, incorrono in un indebolimento della struttura muscolare e della trama ossea, di contro, gli stessi soggetti che hanno risolto il proprio stato carenziale , con adeguata esposizione al sole , alimentazione o supplementazione, tendono ad un miglioramento della struttura muscolare e di quella ossea, allontanando la possibilità  di una tendenziale predisposizione all’ affaticamento muscolare e all’insorgenza di stress strutturali ossei, preludio, quest’ultimi, a possibili traumi fratturativi; inoltre, per il ristabilirsi della suddetta azione regolatrice sui processi infiammatori, una sufficiente presenza di vitamina D svolge un ruolo obbiettivamente favorevole nella prevenzione degli infortuni e nel recupero degli stessi. 

Recentemente, riguardo la sfera sportiva, ho avuto modo di apprezzare un articolo apparso su una rivista specializzata, che riportava i dati di un’esperienza fatta su atleti professionisti (calciatori di serie A), che evidenziavano come la integrazione e la risoluzione della carenza di vitamina D accertata, attenzione, però,  no l’uso indiscriminato e a priori della stessa, ma solo il ripristino delle carenza, fornisse la possibilità di migliorare la performance muscolare e ossea degli stessi e la prevenzione o il recupero degli infortuni. 

In particolare, anche per i podisti, che ne sono carenti o addirittura ai limiti della sufficienza,  può manifestarsi una maggiore predisposizione all’insorgenza di uno stato infiammatorio e, di conseguenza, maggiore incidenza degli infortuni ad esso correlato.
In pratica, si è sulla strada di consigliare, a chi pratica attività fisica e non solo, di arricchire, lo screening di controllo bioumorale periodico, con un dosaggio ematico della vitamina D ,  questo, possibilmente e per ovvi motivi, tre volte l’anno (fine estate, durante l’inverno e in primavera), e di integrare l’eventuale carenza (previo alimentazione o integratori mirati) in base a tabelle di cut-off recentemente stilate; a tal proposito, permettetemi una parentesi riguardo l’uso dell’integrazione di micronutrienti in genere (vitamine e minerali), è buona regola farne uso dopo aver consultato uno specialista del settore e, solo dopo che si è dimostrata, laddove è possibile, una evidente tendenza carenziale, non correggibile, in primis, con un asseto nutrizionale adeguato. 

Bene , sono giunto alla fine di questa mia breve e, spero, chiara disamina,  sempre con il modestissimo intendo di allargare gli orizzonti di tutte quelle persone, sedentarie o sportive, che sono attente alla propria alimentazione e allo stato di benessere del proprio organismo e che ritengono, la stessa, primum movens di tutto ciò che facciamo, dalla semplice, ma salutare camminata, fino all’attività sportiva impegnativa, ricordando, sempre, che “noi siamo quello che mangiamo….”    
                                   
Dott. Giuseppe Tomasino



COME FACCIO AD ASSUMERNE A SUFFICIENZA?
Prima di trasformarvi in lucertole a tempo pieno, vediamo quali sono le tre modalità migliori per immettere tanta vitamina D in circolazione.

1. Esposizione al sole

Non è il caso di fare gli straordinari nel solarium per accaparrarsi tutta la vitamina D possibile.

2. Apporto alimentare, come latte di soia, cereali, latte di riso, succo d'arancia.

3. Integratori




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